Ricorso per conflitto di attribuzione con istanza di  sospensione
ai sensi dell'art. 40 della  legge  n.  87/1953  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato  (c.f.  80224030587),  presso  i  cui   uffici
domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi,  12  per  il  ricevimento
degli atti, fax 06.96514000 e PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it 
    Contro la Regione Veneto, in persona del presidente della  giunta
regionale in carica, con sede in Venezia, Palazzo  Balbi,  Dorsoduro,
3901 (C.a.p. 30123); 
    Per l'annullamento della deliberazione della giunta regionale del
Veneto n. 306/DRG del 13 marzo 2018 (doc. 1), recante  la  «Indizione
referendum consultivo sul  progetto  di  legge  n.  8  di  iniziativa
popolare relativo a "Suddivisione  del  Comune  di  Venezia  nei  due
comuni autonomi di Venezia e Mestre". Indizione  della  consultazione
referendaria per domenica  30  settembre  2018  ed  approvazione  del
quesito referendario», pubblicata nel B.u.r. n. 27 del 16 marzo 2018. 
 
                                Fatto 
 
    L'atto regionale che lo Stato ritiene  invasivo  della  sfera  di
competenza  attribuitagli  dalla  Carta  Fondamentale  rinviene   dal
procedimento,  riguardante  la  variazioni  provinciali  e  comunali,
contemplato dalla legge regionale del Veneto 24 dicembre 1992 n. 25. 
    La  legge  in  parola  disciplina,  per  quanto   di   competenza
regionale, la variazione delle  circoscrizioni  dei  comuni  e  delle
province, nonche' il mutamento delle denominazioni dei  comuni  (art.
1). 
    La delibera censurata con l'odierno gravame, quindi, si inserisce
nel procedimento che consente tali variazioni o mutamenti all'interno
di una provincia mediante  l'approvazione  di  una  legge  regionale,
previo referendum consultivo - disciplinato  in  Veneto  dalla  legge
regionale 12 gennaio 1973, n. 1 - e secondo le procedure previste  al
capo II della legge regionale n. 25/1992 (art. 2, comma 1). 
    L'iniziativa legislativa per la variazione  delle  circoscrizioni
comunali e' affidata ai soggetti di cui  all'art.  38  dello  Statuto
regionale, approvato con legge statale 22 maggio 1971, n.  340  (cfr.
art. 20 dello Statuto  vigente,  approvato  con  legge  regionale  17
aprile 2012 n. 1). 
    Nel caso  che  ci  occupa,  in  data  25  maggio  2014  e'  stata
depositata, presso il consiglio regionale del Veneto, la proposta  di
legge di iniziativa popolare avente per oggetto la «Suddivisione  del
Comune di Venezia nei due comuni autonomi di Venezia  e  Mestre».  La
proposta tende  ad  una  variazione  delle  circoscrizioni  comunali,
mediante lo scorporo del Comune di Venezia in due distinti comuni che
apparentemente  integra  la  fattispecie  di  cui  alla  lettera   b)
dell'art. 3, comma 1, della legge regionale n. 25/1992. 
    La procedura legislativa cosi' avviata e'  stata  successivamente
riaperta, ai sensi dell'art.  133,  del  regolamento  del  consiglio,
nell'attuale legislatura, ove la proposta e'  diventata  progetto  di
legge n. 8/2015. 
    Con deliberazione n. 10 approvata nella seduta  del  14  febbraio
2017  (doc.  2),  il  consiglio  regionale  del  Veneto  ha  ritenuto
meritevole, ai fini  della  prosecuzione  dell'iter  legislativo,  il
progetto di legge. 
    Il  giudizio  di  meritevolezza  e'  stato  formulato  nonostante
l'acquisizione della deliberazione del consiglio comunale di  Venezia
n. 32 datata  9  gennaio  2016  (doc.  3),  che  ha  espresso  parere
contrario  in  ordine  al  progetto   di   legge   n.   8   rilevando
l'illegittimita'  costituzionale  di  un'eventuale  legge   regionale
approvata in esito al procedimento in esame nonche'  l'illegittimita'
di ogni ulteriore provvedimento amministrativo  adottato  nell'ambito
del procedimento in parola. 
    L'avviso contrario manifestato dal consiglio  comunale  veneziano
muove dalla sopravvenuta  incompatibilita'  dello  scorporo  previsto
dalla proposta di legge con la disciplina specifica introdotta per il
comune capoluogo di una Citta' metropolitana (quale e' Venezia) dalla
legge 7 aprile 2014 n.  56,  entrata  in  vigore  successivamente  al
progetto di legge in questione. 
    Il rilievo circa l'incompatibilita' del  progetto  con  la  legge
statale  sopravvenuta  e'  stato  dunque  acquisito  nel  corso   del
procedimento ed e' comunque da tempo noto alla  Regione  Veneto  come
dimostrano: la deliberazione del Commissario straordinario del Comune
di Venezia n. 83 del 13 ottobre 2014 (doc. 4); la  comunicazione  del
Sindaco della Citta' metropolitana di Venezia in data 29 giugno 2016;
il parere della Presidenza del Consiglio dei ministri -  Dipartimento
per gli affari regionali le autonomie e lo sport del 26  luglio  2016
(doc.  5)  e,  infine  la  comunicazione  del  sindaco  della  Citta'
metropolitana di Venezia in data 22 settembre 2016. 
    In estrema sintesi, tali atti convergono  nell'escludere  che  la
scissione del Comune capoluogo della  Citta'  metropolitana  in  piu'
comuni possa seguire le procedure generali  dettate  dal  legislatore
regionale per i comuni non facenti parte di Citta'  metropolitana  in
luogo delle procedure  specifiche  dettate  dal  Legislatore  statale
sulle Citta' metropolitane. 
    Cio' nonostante, con successivo provvedimento n. 84  in  data  11
luglio 2017, su proposta della giunta regionale n. 56/CR del 6 giugno
2017, il consiglio regionale veneto  ha  deliberato  l'individuazione
della  popolazione  interessata  dalla   consultazione   referendaria
nell'intera popolazione dell'attuale Comune di Venezia. 
    Con nota del 25 luglio 2017 (doc. 6), il Sottosegretario di Stato
per gli affari regionali, ha rappresentato al presidente della giunta
regionale veneta che l'avviato procedimento  referendario  in  merito
alla separazione in due comuni  (Venezia  e  Mestre)  del  Comune  di
Venezia,  capoluogo  della  Citta'  metropolitana,  ove  portato   ad
esecuzione, sarebbe apparso in contrasto con la legge 7 aprile  2014,
n. 56 (cd. legge Delrio), concretizzando una palese  invasione  della
sfera di competenza esclusiva statale  in  materia  di  «legislazione
elettorale, organi di governo  e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,
Province e Citta' metropolitane» di cui all'art. 117, secondo  comma,
lettera p) della Costituzione. Con la deliberazione n. 306/DRG del 13
marzo 2018, tuttavia, la giunta regionale del Veneto  ha  inteso  dar
seguito all'iniziativa e ha quindi indetto il  referendum  consultivo
sul progetto di legge di iniziativa popolare n. 8,  al  quale  dovra'
partecipare, ai sensi dell'art. 6, comma 2, della legge regionale  24
dicembre 1992, n. 25  e  successive  modificazioni  ed  integrazioni,
l'intera popolazione elettorale dell'attuale Comune di Venezia. 
    Ha altresi' deliberato che per lo  svolgimento  delle  operazioni
relative al referendum si applicano le norme  previste  dall'art.  26
della legge regionale 12 gennaio 1973, n. 1  («Norme  sull'iniziativa
popolare per le leggi ed  i  regolamenti  regionali,  sul  referendum
abrogativo e  sui  referendum  consultivi  regionali»)  e  successive
modificazioni  ed  integrazioni  e  ha  convocato  per  domenica   30
settembre 2018 i comizi elettorali per la consultazione referendaria,
le cui operazioni di voto si svolgeranno  dalle  ore  7,00  alle  ore
23,00 della stessa giornata. 
    La giunta  regionale  ha  infine  approvato  il  sotto  riportato
quesito, da rivolgere  alla  popolazione  elettorale  del  Comune  di
Venezia, perche'  sia  scritto  nella  scheda  di  votazione  per  il
referendum: «E'  lei  favorevole  alla  suddivisione  del  Comune  di
Venezia nei due comuni autonomi di Venezia e Mestre, come da progetto
di legge di iniziativa popolare n. 8?». 
    Il sindaco della Citta' metropolitana di Venezia, da ultimo,  con
nota del 16 marzo  2018  (doc.  7),  in  relazione  alla  sopracitata
indizione del referendum consultivo, ha ribadito l'evidente contrasto
del procedimento di  separazione  in  argomento  con  l'articolazione
prevista per i comuni  capoluogo  delle  Citta'  metropolitane  dalla
legislazione statale in sede di competenza esclusiva. 
    La deliberazione n. 306/DRG del 13 marzo 2018 invade la sfera  di
competenza costituzionale dello Stato in quanto emanata in violazione
degli articoli 114, 117,  secondo  comma,  lettera  p)  e  133  della
Costituzione, e della legge n. 56  del  2014  e  merita  pertanto  di
essere annullata per i seguenti motivi in 
 
                               Diritto 
 
Violazione e falsa applicazione  degli  articoli  114,  117,  secondo
comma, lettera p) e 133 della Costituzione, e della legge n.  56  del
2014 nonche' dell'art. 1 dello Statuto della  Regione  del  Veneto  e
degli articoli 2 e 10 dello Statuto  della  Citta'  metropolitana  di
Venezia. 
    1. Con la delibera n.  306/DRG  del  13  marzo  2018,  la  giunta
regionale del Veneto ha indetto,  ai  sensi  del  combinato  disposto
delle leggi  regionali  n.  25/1992  n.  1/1973  e  a  seguito  della
presentazione del progetto di legge di iniziativa popolare n.  8,  un
referendum consultivo per la suddivisione del Comune di  Venezia  nei
due comuni autonomi di Venezia e Mestre  convocando,  come  detto,  i
comizi elettorali per domenica 30 settembre 2018. 
    L'intera popolazione elettorale dell'attuale Comune di Venezia e'
stata chiamata a  partecipare  alla  consultazione  referendaria,  in
forza della  delibera  impugnata,  che  e'  dunque  finalizzata  alla
separazione in due comuni (Venezia e Mestre) del Comune  di  Venezia,
oggi capoluogo dell'omonima Citta' metropolitana. 
    L'atto gravato risulta  in  contrasto  con  quanto  previsto,  in
materia di articolazione territoriale delle Citta'  metropolitane  e,
in particolare, del loro comune capoluogo, dalla legge 7 aprile 2014,
n. 56 (cd. legge Delrio). La delibera della giunta regionale  veneta,
invero, integra  una  palese  invasione  della  sfera  di  competenza
esclusiva statale in materia di «legislazione elettorale,  organi  di
governo  e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e   Citta'
metropolitane» di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  p)  della
Costituzione  e  viola  altresi'  gli  articoli  114  e   133   della
Costituzione. 
    2. In via preliminare,  si  evidenzia  che  il  provvedimento  in
argomento esprime in  modo  chiaro  e  inequivoco  la  pretesa  della
Regione di intervenire sul  territorio  del  comune  capoluogo  della
Citta'  metropolitana  al  di  fuori  dello  specifico   procedimento
previsto dalla legge n. 56 del 2014  e  quindi  interferendo  con  le
attribuzioni statali sugli organi della Citta' metropolitana. 
    Con la delibera n. 306/DRG del 13 marzo 2018, la  Regione  Veneto
ha dato ulteriore  e  definitivo  impulso  al  procedimento  volto  a
suddividere il Comune di Venezia nei due comuni autonomi di Venezia e
Mestre avviato dal consiglio regionale con il provvedimento n. 84  in
data 11 luglio 2017, con cui  e'  stata  individuata  la  popolazione
interessata dalla consultazione referendaria coincidente appunto  con
l'intera popolazione del Comune di Venezia. 
    Va rilevato, al riguardo,  che  lo  stesso  comune  ha  impugnato
dinanzi al Tribunale amministrativo  regionale  per  il  Veneto,  con
ricorso del 12 aprile 2017 (doc. 8) e con successivi motivi  aggiunti
(doc. 9), la deliberazione n. 10 del 14 febbraio  2017,  con  cui  il
consiglio regionale del  Veneto  si  e'  positivamente  espresso  sul
ridetto progetto di legge, onde consentirne la prosecuzione dell'iter
legislativo, nonche' il citato provvedimento n. 84 in data 11  luglio
2017.  Il  predetto  ricorso  contraddistinto  dal  numero  di   R.G.
502/2017,   spiegato   avverso   gli   atti    preliminari    emanati
dall'amministrazione regionale nell'ambito del procedimento  previsto
dal capo II della legge regionale n.  25  del  1992,  e'  attualmente
pendente  (1) 
    L'impugnativa comunale  e'  stata  poi  estesa,  da  ultimo,  con
ulteriori motivi aggiunti (doc. 10), proprio alla delibera n. 306/DRG
del 13 marzo 2018 che, tuttavia, oltre ai profili  di  illegittimita'
denunciati dal Comune di Venezia dinanzi al  Giudice  amministrativo,
crea altresi' un vulnus incidente  sulle  prerogative  costituzionali
dello Stato  meritevole  dell'elevazione  dell'odierno  conflitto  di
attribuzione ai sensi dell'art. 134 Cost. secondo alinea. 
    L'atto sospinto integra quindi nella sua attualita' e concretezza
la lesione della  sfera  di  competenza  statale  riconosciuta  dalla
Costituzione e radica l'interesse del Governo all'odierna impugnativa
volta a ricondurre la situazione alla legittimita' e a conformita' al
dettato della Carta fondamentale in ordine al riparto  costituzionale
delle attribuzioni tra lo Stato e la  Regione  Veneto,  gravemente  e
insanabilmente leso dalla iniziativa della Regione, 
    3. E' altresi' evidente la sussistenza  del  tono  costituzionale
del conflitto. 
    La  questione  sottoposta  al  vaglio  di  codesta  ecc.ma  Corte
afferisce senz'altro  al  riparto  delle  attribuzioni  tra  Stato  e
Regioni, quale risulta dal nuovo Titolo V della parte  seconda  della
Costituzione. 
    Codesta ecc.ma Corte ha recentemente ribadito  che  «a  conferire
tono  costituzionale  ad  un  conflitto   basta   la   prospettazione
dell'esercizio di un potere radicalmente diverso da quello attribuito
dalla legge, cosi' integrando "un'ipotesi  di  lamentata  carenza  di
potere in concreto incidente sulle prerogative  costituzionali  della
ricorrente" (sentenza n. 104 del 2016; nello stesso  senso,  sentenze
n. 235 del 2015, n. 263  e  n.  137  del  2014,  n.  380  del  2007)»
(sentenza n. 260 del 2016 cit.). 
    Si  avra'  agio  di  dimostrare  in  prosieguo  che  la  delibera
impugnata e' frutto di una scelta  viziata  da  evidente  carenza  di
potere della Regione ad introdurre, dopo l'entrata  in  vigore  della
legge 7 aprile 2014 n. 56, variazioni delle  circoscrizioni  comunali
che modifichino il  territorio  del  comune  capoluogo  delle  Citta'
metropolitane. 
    Vi e' infatti che la deliberazione n. 306/DRG del 13  marzo  2018
si risolve in una chiara  violazione  delle  prerogative  statali  in
materia di istituzione delle  Citta'  metropolitane,  particolarmente
incise dalla modificazione territoriale del comune capoluogo, che  la
Regione Veneto ha consumato attraverso l'indizione di  un  referendum
consultivo sul progetto di legge n. 8. 
    La «Suddivisione del Comune di Venezia nei due comuni autonomi di
Venezia e  Mestre»,  che  la  Regione  sta  perseguendo  mediante  il
procedimento di variazione delle circoscrizioni dei  comuni  e  delle
Province, previsto dalla legge regionale del Veneto 24 dicembre  1992
n. 25, appare invero manifestamente incompatibile con  la  disciplina
dettata dalla legge n. 56/2014 (art. 1, comma 22) per la modifica del
territorio del comune capoluogo delle Citta' metropolitane. 
    E' ben evidente che la delibera impugnata e' atto espressivo  del
disegno regionale volto a  stravolgere  la  consistenza  territoriale
dell'attuale comune capoluogo della Citta' metropolitana  di  Venezia
al punto da  determinare  anche  una  drastica  riduzione  della  sua
popolazione (che si riflette inevitabilmente  anche  sulla  effettiva
rappresentativita' quale comune capoluogo) e percio', nella misura in
cui il sindaco di  tale  comune  e'  anche,  per  legge,  il  sindaco
metropolitano (art. 1, comma 19 della  legge  n.  56/2014),  concreta
un'invasione  nella  sfera  di  competenza  statale  manifestata  nel
disegno contenuto dalla legge n. 56/2014, il quale  oggi  rischia  di
essere stravolto dall'iniziativa regionale che qui si censura. 
    4. Venendo al denunciato  contrasto  dell'atto  sospinto  con  le
norme  attributive  delle  prerogative  costituzionali  dello   Stato
incise,  giova  premettere  che  non  e'  qui   in   discussione   la
possibilita' di devolvere -  in  via  generale  -  la  materia  della
modificazione   delle   circoscrizioni   comunali   alla   competenza
regionale, ai sensi dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione,
come recepito nell'ordinamento regionale dalla legge regionale n.  25
del 1992. 
    Vi e' pero' che nel caso di specie, come negli altri casi in  cui
si verta in materia di separazione territoriale del  Comune-capoluogo
metropolitano, il titolo di competenza legislativa e' quello statale,
ai sensi degli articoli 114, 117, secondo comma,  lettera  p)  e  133
della Costituzione, e la relativa disciplina  va  quindi  individuata
nelle previsioni di cui alla legge n. 56 del 2014. 
    L'art.  114  Cost.  e'  la  norma  fondamentale  che  radica   la
competenza dello Stato ad istituire le Citta' metropolitane. 
    Infatti, «Il novellato art. 114 Cost., nel richiamare al  proprio
interno,   per   la   prima   volta,   l'ente   territoriale   Citta'
metropolitana,  ha  imposto  alla  Repubblica  il  dovere  della  sua
concreta   istituzione.   E'   proprio,   infatti,   tale    esigenza
costituzionale che fonda la competenza legislativa  statale  relativa
alla istituzione del nuovo ente, che non potrebbe, del  resto,  avere
modalita' di  disciplina  e  struttura  diversificate  da  regione  a
regione,  senza  con  cio'  porsi  in  contrasto   con   il   disegno
costituzionale che presuppone livelli  di  governo  che  abbiano  una
disciplina uniforme, almeno con riferimento agli aspetti essenziali.»
(cosi' Corte costituzionale, sentenza n. 50 del 2015). 
    In tale direzione si e' dunque espressa la scelta del legislatore
statale che «In attesa della riforma del titolo V della parte seconda
della Costituzione e delle relative norme di attuazione» ha istituito
«le citta' metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna,
Firenze, Bari, Napoli  e  Reggio  Calabria  sono  disciplinate  dalla
presente legge, ai sensi e nel  rispetto  di  quanto  previsto  dagli
articoli 114 e 117, secondo comma, lettera p), della  Costituzione  e
ferma restando la competenza regionale ai  sensi  del  predetto  art.
117» (art. 1, comma 5, primo periodo, legge n. 56/2014). 
    L'istituzione delle Citta' metropolitane, tra cui Venezia, si  e'
manifestata attraverso la volonta' del legislatore statale che si  e'
ulteriormente esplicitata mediante  l'individuazione  del  territorio
dei nuovi enti di area vasta coincidente con quello  della  provincia
omonima (art. 1, comma 6, primo periodo, legge n. 56/2014). 
    Non  vi  e'  dubbio  allora  che   l'istituzione   della   Citta'
metropolitana di Venezia e' frutto di un'opzione statale orientata  e
giustificata (anche) in funzione delle caratteristiche del territorio
del nuovo ente e della popolazione ivi residente. 
    In  tale  prospettiva,  la   scelta   del   Legislatore   si   e'
ulteriormente  articolata  attraverso  l'individuazione  dei   comuni
capoluogo delle omonime Citta' metropolitane. Scelta che ha  riflessi
immediati anche  sulla  composizione  degli  organi  del  nuovo  ente
poiche', come detto, «Il  sindaco  metropolitano  e'  di  diritto  il
sindaco del comune capoluogo» (art. 1, comma 19, legge n. 56/2014). 
    In definitiva, la riconosciuta competenza statale ad istituire le
Citta' metropolitane si e' estrinsecata  anche  con  l'individuazione
dei loro comuni capoluogo i quali sono stati  qualificati  come  tali
proprio per le loro  caratteristiche  territoriali  che  non  possono
essere stravolte da un successivo intervento regionale. Non  a  caso,
del resto, codesta ecc.ma  Corte,  nell'escludere  l'irragionevolezza
della figura del sindaco metropolitano cosi'  come  tratteggiata  dal
citato comma 19 della legge  n.  56/2014,  richiama  «il  particolare
ruolo e l'importanza del comune capoluogo intorno a cui si aggrega la
Citta' metropolitana». 
    Tale  conclusione  trova  conferma  nel  dettato  dell'art.  117,
secondo comma, lettera p), Cost., che riserva in via  esclusiva  allo
Stato  la  competenza   legislativa   nella   materia   «legislazione
elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali». 
    La lettera p) del secondo  comma  dell'art.  117  Cost.,  invero,
parte dalla ovvia premessa dell'esistenza delle Citta' metropolitane,
menzionate nel novellato art.  114.  La  norma,  pur  non  rimettendo
«letteralmente»   allo   Stato   la   competenza    a    costituirle,
nell'affermare  la  competenza  esclusiva   statale   per   la   loro
organizzazione  non  puo'   evidentemente   che   presuppone   quella
competenza «a monte». Del resto, non potrebbe  ovviamente  sussistere
una simile competenza in capo alle regioni  a  costituire  la  Citta'
metropolitana, poiche' essa «e' ente di rilevanza nazionale (ed anche
sovranazionale ai fini dell'accesso a  specifici  fondi  comunitari)»
(Corte cost., sentenza n. 50 del 2015 c.i.d. 3.4.1.).  La  competenza
statale ad istituire le Citta' metropolitane, cosi' come ha  disposto
la legge n. 56/2014,  e'  quindi  giustificata  dalla  necessita'  di
valutazione globale e uniformita' a livello nazionale. D'altra  parte
sarebbe illogico e potrebbe dare luogo a evidenti conflitti rimettere
la costituzione (prius) a un ente e la  regolamentazione  (posterius)
ad un altro (per giunta di competenza piu' estesa). 
    D'altro canto, le prerogative  statali  innanzi  descritte  (come
contenute nella legge n. 56/2014) sono  state  esercitate  nel  pieno
rispetto dell'art.  133  Cost.  e  non  invadono  in  alcun  modo  la
competenza regionale nella materia concernente l'istituzione di nuovi
enti comunali nell'ambito  del  proprio  territorio,  cosi'  come  la
modificazione delle inerenti circoscrizioni (in tal senso  ancora  la
sentenza n. 50 del 2015). 
    E invero, l'art. 133, secondo comma,  Cost.,  nell'affidare  alle
regioni la competenza, con proprie leggi  e  sentite  le  popolazioni
interessate, ad istituire nel proprio territorio  nuovi  comuni  e  a
modificare le loro circoscrizioni e denominazioni riguarda,  infatti,
casi diversi da  quelli  disciplinati  dalla  legge  n.  56/2014,  in
particolare, al comma 22 dell'art. 1, su cui si  dovra'  tornare.  Il
secondo comma dell'art. 133 Cost. non contempla,  significativamente,
le Citta' metropolitane, perche' esse non rientrano in  quel  livello
di interventi. E questo appare  estremamente  significativo  in  sede
interpretativa, atteso che, con la riforma del 2001,  il  Legislatore
costituzionale ben sarebbe potuto intervenire anche  sulla  norma  da
ultimo citata, menzionando anche le Citta' metropolitane in  sede  di
riparto delle  competenze  relativamente  alla  loro  costituzione  e
modifica; se cio' il Legislatore non ha ritenuto di  dover  fare,  se
dunque l'art. 133 non e' stato opportunamente modificato, cio' sta  a
significare che le procedure che la norma costituzionale prevede  per
l'istituzione  di  nuovi  comuni  o  la  modificazione   delle   loro
circoscrizioni non riguardano le Citta' metropolitane, che sono  oggi
disciplinate esclusivamente dalla legge n. 56/2014, e per  le  quali,
piu' in generale, ogni modifica in  sede  legislativa  non  puo'  che
rientrare nella competenza dello Stato. 
    Resta confermato, dunque, che la scelta della Regione  Veneto  di
ricorrere alla procedura ordinaria disciplinata dalla legge regionale
n. 25/1992 per lo scorporo del Comune di Venezia in due nuovi  comuni
travalica il limite delle competenze regionali perche', in tal  modo,
si elude l'equilibrata scelta  operata  dalla  legge  n.  56/2014  in
merito alla modalita' attraverso la quale si puo'  procedere  ad  una
scissione del comune capoluogo il cui sindaco sia  anche  il  sindaco
della  Citta'  metropolitana  e  che,  a  sua  volta,  determina   la
composizione  del  Consiglio  della  Citta'  metropolitana  (la   cui
competenza,  come  detto,  e'  rimessa  alla  legislazione  esclusiva
statale in virtu' del gia' citato art. 117, secondo comma, lettera p)
Cost. 
    Non vi e' dubbio, per quanto innanzi esposto, che la affermata  e
incontestabile competenza statale  riguardante  la  disciplina  delle
Citta' metropolitane si sia inverata nella ridetta legge n.  56/2014.
Un breve richiamo ad alcune delle sue disposizioni ne fornisce  ampia
conferma. 
    La legge in commento «all'art. 1 disegna il nuovo  assetto  degli
enti territoriali  di  area  vasta  nei  suoi  aspetti  funzionali  e
organizzativi» (Corte cost., sentenza n. 159 del 2016, c.i.d.  6.1.).
E' quindi una legge che  attua  i  principi  della  riforma  statale,
riguardante  l'abolizione  delle  Province  e  la  ridefinizione  dei
compiti e  delle  funzioni  degli  Enti  area  vasta,  che  e'  stata
riconosciuta conforme alla Carta fondamentale, e, quindi,  per  cosi'
dire, «costituzionalizzata» (2)  dalla sentenza n. 50 del 2015. 
    Va ricordato, al riguardo, che l'art. 1, comma 2, della legge  n.
56/2014 definisce le Citta' metropolitane Enti di area vasta, con  le
seguenti finalita' istituzionali generali: 
        cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; 
        promozione  e   gestione   integrata   dei   servizi,   delle
infrastrutture e delle  reti  di  comunicazione  di  interesse  della
citta' metropolitana; 
        cura  delle  relazioni  istituzionali  afferenti  al  proprio
livello, ivi comprese quelle con le citta' e  le  aree  metropolitane
europee. 
    La legge individua le province che ormai hanno di fatto  lasciato
il posto alle  Citta'  metropolitane,  tra  le  quali  e'  annoverata
Venezia. Il territorio della Citta' metropolitana coincide con quello
della provincia omonima, ferma restando l'iniziativa dei comuni,  ivi
compresi i  comuni  capoluogo  delle  province  limitrofe,  ai  sensi
dell'art. 133, primo comma, della Costituzione, per la modifica delle
circoscrizioni provinciali limitrofe e  per  l'adesione  alla  citta'
metropolitana (cfr. art. 1 commi 5 e  6,  legge  n.  56/2014)  (3)  .
Trattasi di procedimento costruito sulla traccia dell'art. 133 Cost.,
molto  diverso  da  quello  che  riguarda  la  consistenza,   natura,
estensione, della Citta' metropolitana e del suo  Capoluogo,  cui  fa
riferimento il successivo comma 22. 
    Per quanto concerne in particolare la suddivisione del Comune  di
Venezia nei due comuni autonomi di Venezia e Mestre, auspicata  dalla
Regione Veneto, va dunque rimarcata l'evidente  inconciliabilita'  di
una simile  opzione  con  il  dettato  della  legge  n.  56/2014  che
contempla espressamente un'unica ipotesi di modifica  del  territorio
della Citta' metropolitana. 
    Nel caso in cui lo statuto  della  Citta'  metropolitana  preveda
l'elezione  diretta  del  sindaco  e  del  consiglio   metropolitano,
infatti, il comma 22 dell'art. 1  pone  come  condizione  necessaria,
affinche' si possa far luogo a detta elezione a suffragio universale,
l'articolazione del territorio del comune capoluogo in  piu'  Comuni,
da attuarsi entro la data di indizione delle elezioni. 
    Cio'  conferma  che  allorquando  si  debba  procedere   ad   una
suddivisione (e piu' in generale ad una  modifica)  territoriale  del
Comune-capoluogo  metropolitano,  spetta  alla  Stato  la  competenza
legislativa esclusiva in virtu' dell'art. 117, secondo comma, lettera
p) della Costituzione nonche' degli  articoli  114  e  133  Cost.  La
competenza della Regione di variare  le  circoscrizioni  comunali  in
Veneto, pertanto, non puo' che essere limitata ai casi previsti dalla
legge regionale n. 25/1992 che, come detto, non possono riguardare il
territorio del Comune-capoluogo della Citta' metropolitana. 
    Il comma 22 dell'art. 1 della legge n.  56/2014  prevede  infatti
una ipotesi esclusiva di modifica  di  quel  territorio  mediante  un
procedimento che, nel caso in cui di intenda eleggere direttamente il
sindaco e il consiglio  metropolitano,  affida  al  comune  capoluogo
l'iniziativa di articolare il territorio del comune capoluogo in piu'
comuni. Circostanza  quest'ultima  che  nel  caso  in  esame  non  e'
verificata, attesa, come si e' illustrato  in  precedenza,  la  netta
opposizione ad una simile opzione da parte  dello  stesso  Comune  di
Venezia  che  ha  proposto  l'impugnativa   pendente   al   Tribunale
amministrativo regionale per il Veneto. 
    La conclusione fin qui raggiunta, d'altra parte, e' avvalorata da
alcune affermazioni di codesta ecc.ma Corte, chiamata a scrutinare  i
ricorsi promossi da diverse regioni -  tra  cui  il  Veneto  -  sulle
numerose  questioni  di   legittimita'   costituzionale   di   alcune
previsioni contenute legge n. 56 del 2014. 
    Nel  dichiarare  l'infondatezza  di  quelle  questioni,  con   la
sentenza n. 50 del 2015, gia' piu' volte richiamata,  codesta  ecc.ma
Corte ha chiarito che «le Citta' metropolitane istituite dalla  legge
n. 56 del 2014 sono destinate a subentrare integralmente alle omonime
Province esistenti, la cui  istituzione  e'  di  competenza  statale.
Inoltre,  il   legislatore   statale   ha   inteso   realizzare   una
significativa riforma di sistema della geografia istituzionale  della
Repubblica, in vista di una  semplificazione  dell'ordinamento  degli
enti  territoriali,  senza  arrivare  alla  soppressione  di   quelli
previsti in Costituzione. Cio'  giustifica  la  mancata  applicazione
delle puntuali regole  procedurali  contenute  nell'art.  133  Cost.,
essendo stato rispettato il principio, ivi espresso,  del  necessario
coinvolgimento delle popolazioni locali  interessate,  anche  se  con
forme diverse e successive,  al  fine  di  consentire  l'avvio  della
riforma  in  condizioni   di   omogeneita'   sull'intero   territorio
nazionale». 
    E con specifico  riguardo  al  tema  che  ci  occupa,  ha  quindi
evidenziato come «la "articolazione territoriale del comune capoluogo
in piu' comuni» - che il ...  comma  22  pone  come  presupposto  per
l'elezione diretta del sindaco metropolitano - non viola l'art.  133,
secondo comma, Cost., non comprimendo in alcun  modo  le  prerogative
del legislatore regionale e non  eliminando  il  coinvolgimento,  nel
procedimento, delle popolazioni interessate, atteso che la  "proposta
del consiglio comunale deve essere sottoposta a referendum tra  tutti
i cittadini della citta' metropolitana su base delle rispettive leggi
regionali" - ne' contrasta con l'art. 117, secondo comma, lettera p),
Cost.,  essendo  il  presupposto,  di  cui  si   discute,   comunque,
riconducibile  alla  competenza  statale  esclusiva  in  materia   di
«legislazione elettorale [...] di [...] citta' metropolitane"». 
    E ancora, a  fronte  delle  molteplici  censure  sollevate  dalle
regioni  ricorrenti,  in  relazione  alla  istituzione  delle  Citta'
metropolitane, codesta ecc.ma Corte ha precisato che «in un campo che
non  puo'  verosimilmente  considerarsi   di   competenza   esclusiva
regionale, quale, appunto, quello che attiene alla costituzione della
Citta' metropolitana, che e' ente di rilevanza  nazionale  (ed  anche
sovranazionale ai fini dell'accesso a  specifici  fondi  comunitari)»
non puo' applicarsi la clausola di competenza  residuale  di  cui  al
comma 4 dell'art. 117 Cost. «a maggior ragione ove si  consideri  che
con riguardo al nuovo ente territoriale, le regioni non avrebbero  le
competenze, che l'evocato art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.,
riserva in via esclusiva  allo  Stato,  nella  materia  «legislazione
elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali"». 
    Risulta pertanto evidente come il Comune-capoluogo di una  Citta'
metropolitana, ente divenuto costitutivo  della  Repubblica  dopo  la
riforma del Titolo V della Costituzione, assuma, nella  legge  n.  56
del 2014, attuativa degli articoli 114 e 117 della  Costituzione,  un
rilievo e una tutela di carattere anche costituzionale. 
    L'individuazione dei comuni capoluogo delle Citta'  metropolitane
e' quindi rimessa alla competenza esclusiva dello Stato  e  trova  la
sua giustificazione anche nella dimensione  territoriale,  oltre  che
nella  consistenza  demografica,  del  comune  cosi'  individuato  (i
principi sin qui illustrati valgono, ovviamente,  per  le  Regioni  a
Statuto ordinario, diversa essendo la regolamentazione  prevista  per
le regioni a Statuto speciale, come precisato dal comma  5  dell'art.
1). 
    L'art. 1,  comma  19,  della  legge  n.  56  del  2014,  infatti,
stabilisce che il  sindaco  del  comune  capoluogo  assume  anche  di
diritto la carica di sindaco della citta' metropolitana. Ne  consegue
che  l'ambito  territoriale  del  comune  capoluogo,  come   elemento
costitutivo dell'Ente di cui il sindaco e' il vertice, diventa  anche
un elemento costitutivo dell'Ente comunale, il sindaco del  quale  e'
di diritto sindaco della Citta' metropolitana. 
    Proprio il fatto che il  sindaco  del  comune  capoluogo  sia  di
diritto anche sindaco della Citta' metropolitana impone, dunque,  che
il comune capoluogo non possa essere modificato. 
    Del resto, un semplice esame dei dati  sulla  composizione  della
popolazione del Comune di Venezia conferma, ictu oculi, l'effetto  di
sostanziale sovvertimento che l'esito del referendum  potrebbe  avere
su quel Comune, e, quindi, di riflesso, sulla Citta' metropolitana  e
sui suoi organi, aventi - va rammentato - non  secondarie  competenze
di  carattere  generale  per   l'intero   territorio   della   Citta'
metropolitana. Qualora la proposta di legge regionale concludesse  il
suo iter nel senso ora detto il Comune di  Venezia,  capoluogo  della
Citta' metropolitana, passerebbe dai 261.905 abitanti che aveva al 31
dicembre 2016 a 82.902 abitanti, ovvero meno della meta' del  neonato
Comune di Mestre (il  quale,  invece,  avrebbe  179.003  abitanti)  e
diventerebbe il sesto comune della Regione per numero di abitanti. Ne
deriverebbe l'assurda conseguenza che il sindaco di Venezia,  nonche'
Sindaco della Citta' metropolitana, rappresenterebbe soltanto  il  (e
sarebbe eletto dal) 10% della popolazione  metropolitana,  mentre  il
Sindaco  del  Comune  di  Mestre  rappresenterebbe  il  doppio  della
popolazione. 
    Tale  conclusione   e'   assolutamente   inaccettabile,   poiche'
l'intento del Legislatore del 2014, nel prevedere che il sindaco  del
comune capoluogo sia di diritto il sindaco della Citta' metropolitana
(cfr. art. 1, comma 19, cit.), e' quello di far si'  che  il  sindaco
metropolitano rappresenti  il  maggior  numero  dei  cittadini  della
Citta' metropolitana, cioe' sia  l'espressione  piu'  rappresentativa
del voto diretto dei cittadini. 
    Resta comprovato allora  che  l'unica  ipotesi  di  modificazione
territoriale del comune capoluogo della Citta' metropolitana e' ormai
solo  quella  speciale  prevista  dal  citato  comma  22,  il   quale
testualmente dispone: «e' inoltre condizione necessaria, affinche' si
possa far luogo a elezione del sindaco e del consiglio  metropolitano
a suffragio universale, che entro la data di indizione delle elezioni
si sia proceduto ad articolare il territorio del comune capoluogo  in
piu' comuni. A tal fine il comune capoluogo deve proporre la predetta
articolazione territoriale, con deliberazione del consiglio comunale,
adottata secondo la procedura prevista  dall'art.  6,  comma  4,  del
testo  unico.  La  proposta  del  consiglio  comunale   deve   essere
sottoposta  a  referendum  tra  tutti  i   cittadini   della   citta'
metropolitana,  da  effettuare  sulla  base  delle  rispettive  leggi
regionali, e deve essere approvata dalla maggioranza dei partecipanti
al voto. E' altresi' necessario che la regione abbia  provveduto  con
propria  legge  all'istituzione  dei  nuovi  comuni   e   alla   loro
denominazione ai sensi dell'art. 133 della Costituzione». 
    In sostanza, il nesso inscindibile, posto dal richiamato comma 19
della legge n. 56 del  2014,  tra  sindaco  del  comune  capoluogo  e
sindaco metropolitano  comporta  anche  la  non  modificabilita'  del
territorio del comune capoluogo, perche' cio' farebbe  di  questo  un
ente diverso da quello indicato testualmente come il  comune  il  cui
sindaco e' anche sindaco  metropolitano.  Il  territorio  del  comune
metropolitano  puo'  essere  modificato  solo  secondo  la   speciale
procedura di cui alla c.d. legge Delrio, che contempla  una  modifica
statutaria che preveda l'elezione diretta del sindaco  metropolitano,
rompendo il predetto inscindibile nesso, con  l'evidente  conseguenza
dell'inapplicabilita' della legge regionale n.  25/1992.  Ovviamente,
poi, nel mutato contesto a livello  costituzionale  e  di  formazione
statale  primaria,  nessun  rilievo  potrebbe   avere   una   diversa
previsione contenuta in  quest'ultima  legge  regionale,  poiche'  la
stessa non potrebbe che essere interpretata  attraverso  una  lettura
compatibile con le sopravvenute norme di rango superiore; e, se  cio'
non fosse possibile, essa dovrebbe essere modificata  dalla  Regione,
non potendo  contenere  previsioni  con  le  norme  sopravvenute  non
compatibili. 
    In altre parole, l'eventuale scorporo del comune capoluogo non e'
piu' una scelta dipendente da  forme  di  iniziativa  definite  dalla
legge regionale, ne' puo' avere  ad  oggetto  la  sola  modifica  del
territorio comunale. A mente, infatti, del comma 22, ove  lo  Statuto
della Citta' metropolitana opti per l'elezione  diretta  del  sindaco
metropolitano, «il  territorio  del  comune  capoluogo»  deve  essere
articolato «in piu' comuni». In questo caso,  comunque,  l'iniziativa
spetta al consiglio comunale del  comune  capoluogo,  il  quale  deve
adottare a tale fine un'apposita delibera, rispettando le procedure e
i quorum  richiesti  per  la  approvazione  dello  statuto  comunale.
Infine, la proposta contenuta nella delibera consiliare e' sottoposta
a tutti i cittadini della citta' metropolitana  mediante  referendum,
il quale deve - questo si' - essere attuato in conformita' alle leggi
di ciascuna regione relative ai referendum regionali:  spettera'  poi
alla regione, a procedura referendaria conclusa con  esito  positivo,
procedere all'istituzione dei nuovi comuni  ai  sensi  dell'art.  133
della Costituzione. 
    In sostanza, la legge n. 56 del 2014 e' intervenuta in materia di
modificazione  del  territorio  del  comune  capoluogo  delle  Citta'
metropolitane introducendo nell'ordinamento una normativa specifica e
speciale, la quale  presuppone  innanzitutto  che  lo  Statuto  della
Citta' metropolitana preveda la  possibilita'  dell'elezione  diretta
del sindaco metropolitano. Ove sussista tale condizione, e'  comunque
necessaria l'iniziativa  del  comune  capoluogo,  al  quale  soltanto
spetta proporre la nuova  articolazione  territoriale.  Il  Consiglio
comunale del comune  capoluogo  deve  inoltre  adottare  la  delibera
relativa,  contenente  la  proposta  di   nuova   articolazione   del
territorio in piu' comuni, con la procedura dell'art. 6, comma 4, del
Testo unico degli enti locali. 
    Solo a seguito della iniziativa del consiglio comunale del comune
capoluogo, e sulla base della articolazione  territoriale  in  questa
prevista,  la  regione  puo'  (e  deve)  procedere  a  sottoporre   a
referendum popolare tra tutti i cittadini della Citta'  metropolitana
l'istituzione  dei  nuovi  comuni.  Tale  referendum,  inoltre,  deve
svolgersi  secondo  le  rispettive  leggi  regionali  e  deve  essere
approvata a maggioranza dei partecipanti al voto. 
    Dopo lo svolgimento del referendum tra tutti  i  cittadini  della
Citta' metropolitana e  a  condizione  che  esso  abbia  avuto  esito
favorevole, la regione provvedera' con propria legge  a  istituire  i
nuovi comuni e a stabilire la loro denominazione ai  sensi  dell'art.
133 Cost. 
    Tale  procedura,  speciale  e   tipizzata,   ha   dichiaratamente
carattere derogatorio ed assorbente, sia rispetto al  TUEL  che  alle
eventuali leggi regionali precedenti con essa incompatibili. 
    E' chiaro dunque  che  rispetto  al  Comune  di  Venezia,  comune
capoluogo della omonima Citta' metropolitana, il  cui  statuto  (doc.
11),  tra  l'altro,  non  prevede  l'elezione  diretta  del   sindaco
metropolitano (art. 10, comma 2 (4) ), la legge regionale n.  25  del
24 dicembre 1992, non puo' trovare  applicazione  sotto  nessuno  dei
profili qui richiamati. 
    L'assunto e' convalidato anche dalle previsioni statutarie  della
Citta' metropolitana di Venezia che precisano inequivocabilmente come
«Le variazioni  del  territorio  metropolitano  sono  regolate  dalla
Costituzione e dalla legge dello  Stato»  (art.  2,  comma  2,  dello
statuto approvato con deliberazione della Conferenza metropolitana n.
1 del  20  gennaio  2016).  Resta  esclusa  anche  dallo  Statuto  la
possibilita' per il legislatore regionale di modificare il territorio
del comune capoluogo della Citta' metropolitana. 
    Non e' ammissibile, pertanto,  in  questo  caso  l'iniziativa  di
legge popolare, che il comma 22 della legge n. 56 del 2014 esclude in
quanto la riserva al consiglio comunale del capoluogo  e  secondo  le
modalita' dell'art. 6 del TUEL. 
    In ogni caso non sarebbe ammissibile  alcun  referendum  popolare
relativo  all'articolazione  del  comune   capoluogo   della   Citta'
metropolitana  che  sia  riservato  solo  ai  cittadini  del   comune
capoluogo e non sia, invece, aperto a tutti  i  cittadini  che  fanno
parte di questo ente. 
    Del  resto,  che  la  Citta'  metropolitana  assuma  un   rilievo
costituzionale tale da implicarne  l'applicazione  del  principio  di
differenziazione, anche  in  ambito  organizzativo,  e'  riconosciuto
dallo stesso Statuto della Regione del Veneto,  laddove,  all'art.  1
sancisce che: «Venezia, citta' metropolitana,  e'  il  capoluogo  del
Veneto»; pertanto, deve ritenersi  che  l'applicazione,  al  caso  in
specie, della legge regionale n. 25/1992  risulterebbe  in  contrasto
anche con  la  legge  statutaria,  alla  quale,  secondo  i  principi
ordinamentali, deve attribuirsi efficacia rafforzata. 
    Alla luce di tale ricostruzione normativa e giurisprudenziale, si
deve ritenere che l'ordinamento giuridico, a seguito della entrata in
vigore della legge Delrio, di cui codesta ecc.ma Corte ha  dichiarato
la  costituzionalita',  abbia   apprestato   soluzioni   e   percorsi
differenziati per la modifica delle circoscrizioni  territoriali  dei
comuni capoluogo costituiti in Citta' metropolitane, fra  cui  quello
di Venezia, per il quale non puo' pertanto  trovare  applicazione  la
legge regionale n. 25/1992. Si e' dinanzi ad una fattispecie che, per
effetto della disciplina dettata dalla legge n.  56/2014,  si  rivela
non solo nuova ma anche alternativa  ed  escludente,  nel  senso  che
avendo  sottratto  alla  regione  il  potere  di   variazione   delle
circoscrizioni territoriali dei predetti comuni  capoluogo  impedisce
il ricorso al procedimento previsto dalla legge regionale n. 25/1992. 
    La delibera impugnata, pertanto, e' priva di ogni base  normativa
che  la  legittimi  e  concretizza   l'innegabile   invasione   della
competenza dello Stato proprio perche' adottata  sulla  base  di  una
legge regionale che, nel caso in esame, non e' applicabile, in quanto
la competenza  in  materia,  per  quanto  riguarda  la  procedura  da
adottare per l'articolazione in  piu'  comuni  del  comune  capoluogo
della Citta' metropolitana, e' totalmente riservata allo Stato,  come
la gia' citata sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2015  ha
chiaramente affermato (cfr. i punti 3.4.2. e 3.4.4.  della  parte  in
diritto). 
    In conclusione, l'atto gravato e' stato emanato,  in  carenza  di
potere, dalla Regione Veneto, integra la chiara invasione della sfera
di competenza esclusiva statale nelle materie di  cui  agli  articoli
114, 117, secondo comma, lettera p) e 133 della Costituzione  e  deve
essere rimosso con l'auspicabile  accoglimento  dell'odierno  ricorso
per conflitto di attribuzione. 
 
                       Istanza di sospensione 
 
    Si e' innanzi  tratteggiato  (sub  3.)  l'interesse  concreto  ed
attuale  del  Governo  alla  riaffermazione  del   corretto   riparto
costituzionale di competenze nelle materie  cui  agli  articoli  114,
117, secondo comma, lettera p) e 133 della Costituzione. 
    Le censure sopra illustrate dimostrano come  la  Regione  Veneto,
con la deliberazione della giunta regionale n. 306/DRG, ha indetto il
referendum  consultivo  chiamando  l'intera  popolazione   elettorale
dell'attuale Comune di Venezia a pronunciarsi sulla suddivisione  del
predetto comune nei due comuni autonomi di Venezia  e  Mestre,  cosi'
come previsto dal progetto di legge di iniziativa popolare n. 8. 
    L'atto  impugnato,  come  detto,  e'  viziato  da  un  insanabile
violazione delle norme attributive  della  competenza  costituzionale
dello Stato in materia di «legislazione elettorale, organi di governo
e funzioni fondamentali di Comuni, Province e  Citta'  metropolitane»
[art. 117,  secondo  comma,  lettera  p)  della  Costituzione].  Tale
violazione ha concretato  un'inammissibile  ingerenza  della  Regione
Veneto  sulla  consistenza  circoscrizioni  territoriali  dei  comuni
capoluogo  costituiti  in  Citta'  metropolitane  che   deve   essere
assicurata  unitariamente  dallo  Stato  su   tutto   il   territorio
nazionale. 
    L'esecuzione, anche  parziale,  della  delibera  gravata  rischia
dunque di arrecare irreparabile pregiudizio alle prerogative  statali
riconosciute dalla Carta costituzionale,  oltre  che  all'ordinamento
giuridico della Repubblica e all'interesse pubblico coinvolto. A cio'
si aggiunga che dalla sua esecuzione deriva anche una sovrapposizione
di competenze suscettibile di creare incertezza sui comportamenti dei
destinatari del provvedimento oggetto  dell'odierna  impugnativa.  In
punto di periculum in  mora  si  osserva,  altresi',  che  il  temuto
pregiudizio e' apprezzabile all'attualita' in tutta la sua gravita'. 
    La convocazione dei comizi elettorali per il 30 settembre 2018 e'
la data in cui l'atto sospinto esplichera' in pieno i  suoi  effetti,
aggravando ulteriormente la lesione  della  competenza  statale,  che
occorre quindi scongiurare. Peraltro, come e'  facilmente  intuibile,
gia' prima dello svolgimento della consultazione  referendaria  sara'
necessario lo svolgimento di una complessa  attivita'  prodromica,  i
cui costi, anche in termini di distrazione di risorse umane oltre che
economiche, devono essere scongiurati. 
    D'altra parte, la Regione  Veneto  ha  pervicacemente  perseguito
l'intento di concludere l'iter legislativo per  l'approvazione  della
ridetta proposta di  legge  ad  iniziativa  popolare,  nonostante  il
parere contrario ripetutamente  espresso  non  solo  dalle  autorita'
statali ma persino  dal  sindaco  del  Comune  di  Venezia  che  pure
rappresentata la comunita' locale interessata alla  vicenda.  E  cio'
lascia presagire che la stessa regione non attendera'  il  definitivo
esito del presente giudizio prima di dare ulteriore impulso  all'iter
legislativo  avviato.  Tale  comportamento  si  manifesta  con  tutta
evidenza altresi', in ultima analisi, lesivo del principio  di  leale
collaborazione tra Stato e regioni. 
    Sussistendo  una  lesione  permanente  e  attuale   delle   norme
costituzionali  violate,  suscettibile  di  aggravamento  qualora  la
delibera impugnata fosse portata ad  ulteriore  esecuzione,  che  ben
integra le «gravi ragioni»  previste  dalla  legge,  appaiono  dunque
pienamente integrate le condizioni  necessarie  per  l'esercizio  del
potere di sospensione cautelare riconosciuto a codesta  ecc.ma  Corte
dall'art. 40 della legge 11 marzo 1957 n. 87. 

(1) Si    tratta,    infatti,    di    atti    preliminari    emanati
    dall'amministrazione regionale che inquadrabili nel  procedimento
    previsto dal capo II della legge regionale n. 25 del  1992.  Sono
    dunque provvedimenti interlocutori che di per se' non  ledono  le
    attribuzioni costituzionali dello Stato, atteso che la variazione
    delle circoscrizioni dei  comuni  all'interno  di  una  provincia
    veneta  possono  essere  disposti  con  legge  regionale,  previo
    referendum consultivo. Essi sono privi di  effetti  autonomi  sul
    piano del riparto costituzionale delle competenze  che  e'  stato
    inciso solo con l'emanazione della delibera impugnata con cui  e'
    stato indetto il referendum consultivo sul progetto di  legge  n.
    8, fissata la data della consultazione  e  approvato  il  quesito
    referendario (sentenza n. 260 del 2016). 

(2) Significativamente codesta ecc.ma  Corte  ha  precisato  che  «Si
    tratta dunque di una riforma che ha  una  sua  organicita',  come
    riconosciuto nella sentenza n. 50 del 2015 di questa Corte. Si e'
    quindi ritenuto che un intervento di tal  genere  non  possa  che
    essere riservato a livello normativo statale e che in particolare
    vada ricondotto alla competenza esclusiva di  cui  all'art.  117,
    secondo comma, lettera p), Cost e, con specifico riferimento alle
    Citta'  metropolitane,  a  quella  di  cui  all'art.  114  Cost.»
    (sentenza n. 159 del 2016, c.i.d. 6.1.). 

(3) Non va dimenticato  che  l'ultimo  periodo  del  citato  comma  5
    stabilisce che «I principi  della  presente  legge  valgono  come
    principi di grande riforma economica e sociale per la  disciplina
    di  citta'  e  aree  metropolitane  da  adottare  dalla   Regione
    Sardegna, dalla Regione Siciliana e dalla Regione  Friuli-Venezia
    Giulia, in conformita' ai rispettivi statuti» 

(4) A tenore del quale «Il Sindaco ed  il  Consiglio  sono  eletti  a
    suffragio universale, direttamente dai cittadini metropolitani, a
    condizione che non sia necessario articolare  il  territorio  del
    Comune di Venezia in piu' Comuni»; circostanza quest'ultima pero'
    espressamente prevista dal comma 22 dell'art. 1  della  legge  n.
    56/2016 per procedere  all'elezione  diretta  del  sindaco  della
    Citta' metropolitana.  Ne  deriva  che  nel  vigore  della  norma
    statale da ultimo citata la suddetta elezione diretta non  potra'
    essere indetta.